Un problema di equità Non saranno i segni di ripresa congiunturale, meno che mai il calo degli spread, e nemmeno un fantomatico ritorno di investitori stranieri - tratteniamo per la giacca gli svedesi della Electrolux, - a consentire di ritenere conclusa la crisi italiana. Le origini di tale crisi sono più profonde e complesse di quanto i migliori economisti possano lambiccarsi di comprendere. Almeno, invece di ridicoli e patetici ottimismi, si tracci una linea di demarcazione. Ad esempio, quella per la quale il Paese deve mostrare chiaramente di saper sostenere la dinamica del suo debito pubblico. Perché è vero, come ha scritto Lucrezia Reichlin sul “Corriere della Sera” martedì scorso, che la zona euro rimarrà a rischio fin quando l’indebitamento complessivo non sarà stabilizzato. L’ Italia, con un rapporto tra debito pubblico e Prodotto interno lordo, stimato dalla Commissione europea attorno al 135%, in aumento rispetto al 2013, è messa male. La commissione europea è stata ancora generosa prospettando una possibile riduzione minimale, a partire dal 2015. La condizione è che siano varate misure in grado di abbattere il deficit. Non necessariamente abbattere il deficit significa strangolare la ripresa, soprattutto nel caso in cui il deficit è causato da spese parassitarie o improduttive. Quando un governo si convince che tre gradi amministrativi dello Stato siano troppi e per un miglior funzionamento dello stesso, occorra semplificare e eliminare le province, si origina, è ovvio, un ulteriore tasso di disoccupazione. I soldi risparmiati possono però investirsi in posti di lavoro o in servizi più utili e intanto dare un indennità ai funzionari licenziati che non si riescono a ricollocare. Quando il presidente del Consiglio decide di mettere nel mirino anche la Rai, viste le perdite, non si tratta di sforbiciare gli stipendi ma di abbatterli. E state tranquilli, che chi non se la sente di continuare, con 12 milioni di disoccupati in giro, si troverà un sostituto al meglio a metà stipendio. E’ una logica indecente? Di sicuro è una logica di mercato. In tempo di crisi, o la si accetta o si affonda tutti. A contrario del duo Letta - Saccomani, adagiati su una nuvola, Renzi e Padoan hanno una maggior consapevolezza di tutti questi problemi. Ci sarebbe piaciuto veder già pronta una ristrutturazione delle province e una della Rai, che avrebbe consentito anche di limare la tassazione. Abbatti i costi della Rai ed inizi a ridurre il canone. Invece il nuovo governo ha preferito aumentare le buste paga di una fascia di popolazione con reddito compreso fra i 1500 e 2400 euro. Noi non abbiamo messo in questione le coperture: se ci dicono che ci sono, ci saranno. Renzi e Padoan, sono persone serie. E non abbiamo messo in questione nemmeno l’opportunità, nel senso che il loro è stato un modo di attaccare la crisi. Abbiamo solo sollevato un’obiezione di equità, ovvero considerando la massa di disoccupati e cassi integrati aumentare lo stipendio a chi ha almeno una busta paga, rappresentava un ulteriore pugno nell’occhio. Tanto avevamo ragione, che leggiamo di come gli ottanta euro saranno dati anche a cassintegrati e disoccupati. Mancano solo i pensionati e prima della piccola ripresina, ci ritroveremo sprofondati definitivamente nella palude del deficit. A quel punto la Rai andrà chiusa e con quella tutte le aziende di Stato in perdita. E questo andrà fatto nel giro di tre settimane, altrimenti ce la scordiamo la riduzione del debito nel 2015. Roma, 15 maggio 2014 |